domenica 23 agosto 2015

Riflessioni sullo stato della nazione

Se ho capito bene, la scorsa assemblea nazionale tenutasi in occasione dello stage di la Spezia ha sancito la "normalizzazione" del calendario dei raduni aikikai, privando quelli di Laces e di quello natalizio di Milano della qualifica di stage nazionali straordinari.
Si tratta di un fatto disdicevole, e costituisce un frutto avvelenato che andava assolutamente evitato per il bene della associazione nel suo complesso.
E' un gesto sbagliato per molte ragioni.
E' semplicemente ridicolo, in generale, che stage che vengono diretti da shihan internazionali vengano qualificati quali "ordinari" e non contribuiscano a costituire il "monte ore" necessario alla conservazione delle docenze e delle qualifiche di esaminatori.
Dunque quanto meno Laces andava trattato diversamente.
Si, lo so bene che shihan ce ne sono tanti, per così dire, ma è pur vero che privare di riconoscimento un momento formativo come quello di un raduno condotto da chi ha ricevuto, a torto o a ragione, lo status di "bussola" dal vertice dell'aikido mondiale attesta una chiusura che trovo assurda e un protezionismo del tutto fuori dal tempo.
Ma oltre a questo, ciò che manca completamente nell'attuale conformazione dell'aikido italiano, è la valorizzazione della sua straordinaria storia di varietà di apporti e di conoscenze, e che la rende a mio giudizio unica e irripetibile nel panorama aikidoistico internazionale.
Abbiamo avuto all'opera, prima che una serie di sfortunati accadimenti ce li portassero via, grandissimi Maestri e tanto è avvenuto per diversi decenni.
Quale altra nazione europea può vantare una storia di così tanta ricchezza e fortuna?
Questi shihan (perchè di questo si trattava), hanno sviluppato una loro linea, e c'è gente che ha praticato e imparato prevalentemente quei sistemi.
Perchè hanno preferito concentrarsi sul metodo impostato dal Maestro Fujimoto, od Hosokawa, o Tada, o Ikeda per quanto hanno potuto, è qualcosa che è dipeso e dipende da ragioni assai personali, e non importa poi molto.
L'aikido italiano, nei suoi massimi livelli, dovrebbe andare fiero di questa varietà di apporti e sistemi di insegnamento, e invece pare vergognarsene.
E' in corso da anni, o meglio da quando i vicedirettori didattici sono venuti meno, una operazione di rimozione di questo passato che lascia basiti.
Il tentativo sembra essere quello di cancellare quelle esperienze in nome di una fraintesa esigenza di omogeneità, quasi che occorra ricondurre ad unità un movimento che si è invece nutrito della trentennale e quarantennale opera di instancabile insegnamento di autentici campioni dell'aikido, ammirati e desiderati da praticanti di ogni provenienza.
E' una politica ottusa e masochistica e che alla lunga provocherà divisioni e sta già minando profondamente il senso di una comune appartenenza.
Personalmente, io che aderisco, diciamo così, alla linea che ho visto illustrata dal Maestro Fujimoto, non avrei nulla, ma davvero nulla in contrario se, per esempio, un istruttore che avesse seguito per molti anni il Maestro Hosokawa, tenesse degli stage che, dichiaratamente, volessero perpetuarne l'indirizzo didattico.
Troverei assolutamente normale e anzi auspicabile che tali raduni avessero l'avallo della associazione tutta e che permettessero di maturare, a chi li frequentasse, i giorni necessari alla docenza e all'insegnamento.
Questo è stato ed è l'aikido italiano.
Varietà, molteplicità, scambio di visioni.
Tentare di soffocare questa natura è tragicamente sbagliato e alla lunga porta a divisioni maggiori e prepara a future scissioni.
In poche parole è sciocco e miope.
Ed è anche codardo, perchè se si voleva fare questa operazione occorreva farlo mentre quei Maestri erano in vita, e non aspettarne la uscita di scena.
Io spero, ma non sono troppo ottimista, che uno scatto di orgoglio e intelligenza nei vertici e in chi sostiene questa sorta di goffa e grottesca pulizia etnica faccia sì che tanto si arresti immediatamente, e per il bene dell'aikido italiano tutto.
Per canto mio, mi rifiuto di partecipare a stage ai quali mi obbligano e che non soddisfano nulla di quanto io mi aspetti in termini didattici e adeguatezza tecnica.
Non è questo che aiuterà il nostro movimento.
Ai normalizzatori vorrei ricordare che hanno a che fare con esseri pensanti, e che la maggior parte di questi non potranno tollerare costrizioni e arroganze.
I monopoli legali, in un campo quale è quello in questione, sono assurdi e inaccettabili.
E ora, come si conclude talvolta, un cordiale "tanto Vi dovevo".